Introduzione di Giuseppe Cospito
“La storia dei gruppi sociali subalterni è necessariamente disgregata ed episodica”, perché questi “subiscono sempre l’iniziativa dei gruppi dominanti, anche quando si ribellano e insorgono” scriveva Gramsci nei suoi
Quaderni del carcere verso la metà degli anni Trenta del Novecento. E aggiungeva che “ogni traccia di iniziativa autonoma da parte dei gruppi subalterni dovrebbe perciò essere di valore inestimabile per lo storico integrale; da ciò risulta che una tale storia non può essere trattata che per monografie e che ogni monografia domanda un cumulo molto grande di materiali spesso difficili da raccogliere”. Va quindi reso merito a Marco Sommariva innanzitutto di avere svolto un lungo e minuzioso lavoro di ricerca per compilare i centouno capitoli di questo libro, ognuno dei quali costituisce un piccolo saggio di quelle “monografie” che lo stesso Gramsci avrebbe scritto, se solo fosse uscito vivo dalle carceri fasciste.
Non tutti i “ribelli” di cui si parla in queste pagine appartengono per nascita e condizione sociale ai gruppi subalterni, ma anche coloro che provengono dalle classi agiate, da San Francesco a Ernesto “Che” Guevara, ne sposano la causa rinunciando a un’esistenza da privilegiati per dedicare (e spesso sacrificare) la vita in favore degli umili e dei diseredati, o comunque alla lotta contro ogni forma di ingiustizia e di oscurantismo. Certo, chi si limitasse a scorrere rapidamente l’indice del libro, rimarrebbe decisamente sorpreso: che cosa hanno in comune – si potrebbe chiedere il nostro lettore distratto – l’astronomo e matematico Galileo Galilei e il capo indiano Toro Seduto, l’umanista Pico della Mirandola e il “ladro gentiluomo” Arsenio Lupin, il poeta religioso Jacopone da Todi e il pediatra e pedagogista Marcello Bernardi, il fondatore del socialismo scientifico Karl Marx e il
folksinger Bob Dylan, il letterato
dandy Oscar Wilde e l’attivista nero convertito all’Islam Malcom X, il profeta della non-violenza Gandhi e il guerrigliero zapatista Marcos? In che senso possiamo definire “ribelli” filosofi come Ruggero Bacone o Georg Wilhelm Friedrich Hegel?
In realtà tutti costoro, così come gli altri personaggi descritti in questo libro – molti dei quali poco noti ma non per questo meno importanti – sono accomunati dall’opposizione a ogni autorità costituita, dal rifiuto di piegarsi al Potere in tutte le sue manifestazioni: politiche, economico-sociali, religiose, filosofiche, culturali e così via. Sono uomini di fede che hanno anteposto i valori del cristianesimo originario ai dogmi e alle pratiche della Chiesa ufficiale, scienziati che hanno scelto di cercare la verità nel “gran libro della natura” piuttosto che nei volumi polverosi dei loro predecessori, filosofi che hanno esercitato la critica razionale nei confronti di ogni tradizione inveterata, letterati, poeti, artisti e musicisti che, con le loro opere, hanno sfidato canoni e regole dei rispettivi generi per affermare il proprio spirito libero creatore, uomini e donne che hanno scelto di vivere la propria sessualità senza preoccuparsi di norme e convenzioni sociali. Ma sono anche, se non soprattutto, persone comuni, semplici contadini, operai e artigiani che non si sono voluti piegare a un destino di sfruttamento e di oppressione, al quale sarebbero stati destinati per il solo fatto di appartenere a una classe inferiore. In molti casi, i protagonisti non sono nemmeno individui singoli, ma gruppi sociali, politici, religiosi, artistici e così via.
Il filo conduttore dei capitoli del libro, scanditi dallo scorrere dei secoli che tuttavia – almeno in apparenza – sembra lasciare inalterate gerarchie millenarie, è costituito dalla lotta contro ogni forma di ingiustizia e discriminazione (politica, sociale, economica, religiosa, razziale, sessuale), per realizzare ovunque libertà e uguaglianza, non solo giuridiche, ma anche e soprattutto sostanziali. Una lotta quasi sempre disperata per la sproporzione delle forze in campo e, quindi, destinata fin dall’inizio alla sconfitta, almeno nell’immediato. Eppure, nei tempi lunghi della storia, i vinti di ieri sono spesso i vincitori di oggi o perlomeno di domani: la rivolta dei Ciompi fiorentini viene repressa e per secoli accadrà lo stesso a ogni tentativo di organizzare le rivendicazioni (non solo salariali) dei lavoratori ma, a partire dai primi successi delle Trade Unions, oggi almeno in una parte del mondo i diritti sindacali sono universalmente riconosciuti; Sandro Pertini e Nelson Mandela vengono imprigionati a lungo dai regimi illiberali contro i quali si battono ma poi, dopo aver contribuito in maniera decisiva alla loro caduta, diventano presidenti delle loro nazioni; Martin Luther King viene assassinato, ma quarant’anni dopo un afroamericano siede alla Casa Bianca.
E tuttavia non è una storia in bianco e nero, quella che ci racconta Sommariva, una storia in cui, come nei vecchi film western, i “buoni” sono tutti da una parte (e alla fine trionfano) e i “cattivi” dall’altra (e vengono battuti). Non tutti i protagonisti dei brevi ritratti di cui è composto il libro possono essere proposti come modelli da imitare: tra di essi ci sono infatti ladri e assassini, briganti di strada e cacciatori di taglie. Ma le loro vicende, se esaminate in modo obbiettivo e collocate nelle condizioni storiche determinate in cui si svolsero, dimostrano che spesso la differenza tra un eroe e un criminale, un terrorista e un patriota, dipende da queste piuttosto che da una presunta malvagità innata in alcuni esseri umani.
A volte, del resto, la violenza degli oppressi appare l’unico mezzo per opporsi a quella degli oppressori, esercitata con strumenti tanto più potenti e, spesso, più sofisticati e meno visibili. È il caso di molti dei personaggi descritti in queste pagine, nei confronti dei quali l’autore non nasconde la propria simpatia umana e vicinanza politica (la stessa che gli fa preferire Gracco Babeuf a Robespierre, Saint Simon, Owen, Fourier e Proudhon a Engels, Rosa Luxemburg a Lenin, Carlo Rosselli a Palmiro Togliatti). Personaggi riconducibili alla costellazione molteplice e variegata del movimento anarchico e libertario: non solo teorici come Max Stirner e Michail Bakunin, Alexandr Herzen, Henry David Thoreau e molti altri, ma anche agitatori come Pietro Gori e Carlo Tresca, che tentarono di metterne in pratica gli insegnamenti con l’azione politica, “cani sciolti” come il regicida Gaetano Bresci e vittime innocenti come Sacco e Vanzetti.
Scorrendo le pagine del libro troviamo numerose figure femminili, molto diverse tra loro per nascita, condizione sociale e cultura, ma accomunate dal rifiuto della condizione di sudditanza e subordinazione alla quale sarebbero state destinate solo in quanto appartenenti al sesso tradizionalmente considerato “debole”: sono guaritrici ed erboriste, levatrici e prostitute, per questo bollate e perseguitate per secoli come streghe, paladine dei diritti della donna come Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, scrittrici anticonformiste come Emily Dickinson; o ancora le suffragette, epiteto spregiativo affibbiato a coloro che si battevano per il diritto di voto. E, man mano che ci avviciniamo ai nostri giorni, le donne si fanno portavoce di battaglie universali, che oltrepassano l’orizzonte dell’emancipazione femminile: è il caso di Rosa Louise Parks, grazie alla cui fermezza verranno abolite le discriminazioni razziali sui mezzi pubblici negli USA, e soprattutto di Malala Yousafzai, la giovanissima pakistana alla quale nemmeno i proiettili dei talebani sono riusciti a impedire di coltivare il sogno dell’istruzione per tutti, compresi i figli e le figlie di coloro che l’avevano ridotta in fin di vita. Ed è significativo che il libro si chiuda proprio con il suo ritratto, come a voler ribadire che la lotta contro ogni forma di schiavitù e oppressione passa prima di tutto attraverso la conoscenza.
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza” scriveva sul primo numero dell’“Ordine Nuovo”, il giornale dei Consigli di fabbrica torinesi da lui fondato nel 1919, quel Gramsci con cui ho aperto questa brevissima introduzione e che viene nominato diverse volte nel libro, anche se non sono sicuro che si sarebbe riconosciuto nella definizione di “ribelle”. Credo tuttavia che queste sue parole possano essere fatte proprie da tutti coloro che, proseguendo la millenaria lotta dei protagonisti di queste pagine, credono nella possibilità di lasciare un mondo migliore rispetto a quello che hanno trovato.
Giuseppe Cospito
Giuseppe Cospito (Savona 1966), insegna Storia della filosofia all'Università di Pavia. I suoi interessi si rivolgono prevalentemente al pensiero filosofico e politico italiano tra XVI e XX secolo (con particolare riferimento a figure come Machiavelli, Vico, Cattaneo e Gramsci), nelle sue relazioni con il coevo dibattito europeo. Tra i suoi lavori ricordiamo "Il Gran Vico". Presenza, immagini e suggestioni vichiane nei testi della cultura italiana pre-risorgimentale (1799-1839), Genova, Name, 2002; "Il ritmo del pensiero". Per una lettura diacronica dei "Quaderni del carcere" di Gramsci, Napoli, Bibliopolis 2011. Da ultimo ha curato l'edizione di C. Schmitt, Macchiavelli, Genova, Il melangolo, 2014.