Prefazione di Piergiorgio Pulixi
Sono passati venti anni dalla prima pubblicazione di questo romanzo di Marco Sommariva. In questo lungo lasso di tempo, il nostro Paese ha subìto profonde mutazioni dal punto di vista politico, finanziario e antropologico, soprattutto in virtù di una delle più grandi crisi economiche che ha messo in scacco gli italiani per quasi un decennio, e da cui, con grande fatica, lentamente solo ora stiamo uscendo. Tanti altri libri di genere non avrebbero resistito alla tonnara del tempo. Venti anni sono abbastanza non solo per invecchiare un libro, ma spesso per seppellirlo.
Vorompatra, invece, regge il confronto col presente. In qualche modo perché Marco Sommariva aveva preconizzato i tempi che stiamo vivendo, ma soprattutto perché
Vorompatra non dovrebbe essere definito un romanzo di genere, un giallo o un noir che dir si voglia. L’impianto poliziesco del romanzo è esile, a tratti ingenuo, e non rappresenta il punto focale su cui l’autore si è concentrato. Qui parliamo più di un romanzo esistenzialista, a tratti politico, la cui trama è portata avanti da un mistero che aleggia sin dai primi capitoli e che dalla seconda metà del libro in avanti si infittisce sempre di più. Il merito di Sommariva è quello di aver avuto il coraggio di descrivere un protagonista che ben poco ha di positivo: Marco – il personaggio principale che si racconta in prima persona – è un moderno antieroe, un perdente totale: da quando ha perso il lavoro, si è imbruttito, è diventato ancora più scorbutico e ha maturato un talento particolare nel cacciarsi nei guai. Sommariva non è generoso nei suoi confronti: lo descrive come un quarantenne polemico, insofferente con tutto e con tutti, a tratti moralista, perso nel ricordo di qualcuno che non è più, disilluso e scontroso con i suoi stessi familiari; il suo hobby principale è
“far incazzare i miei vicini” ascoltando musica a tutto volume e seminando posta e volantini pubblicitari sugli spazi comuni del suo condominio, e leggere i fumetti di Silver Surfer, una passione adolescenziale mai estinta. Marco non si riconosce nel mondo intorno a lui e non capisce come le altre persone possano essersi arrese alla globalizzazione e a una logica sociale ed economica che li arruola come schiavi del consumismo. Senza un soldo in tasca, il nostro giovane vive grazie alla carità umiliante della madre e del generoso Bacciccia (uno dei pochi personaggi positivi all’interno della storia e meglio caratterizzati), e trascorre i pomeriggi d’agosto in Villa Rossi, ad aspettare che la sera venga a regalare un poco di sollievo a una Genova stretta nella morsa incandescente di un’estate spietata. È proprio qui che avviene l’incontro col misterioso Giancarlo che costituisce l’innesco della storia. Lo sconosciuto propone un affare al disoccupato: si tratta di fare un viaggio a Brunico, dove Marco dovrà consegnare un plico di documenti. Un lavoro da poco, ma assai remunerativo. Il ragazzo accetta e da quel momento nulla nella sua vita sarà più come prima. Marco si scoprirà essere una marionetta in un gioco molto più grande di lui.
In un mare di disillusione sempre più agra, di divagazioni apparentemente inutili e ininfluenti ai fini dello srotolarsi della trama, Sommariva descrive la quotidianità di una vittima dei nostri tempi, un ragazzo che si trova a espiare colpe non proprie ma della generazione che lo ha preceduto, che non ha mai ammesso la sconfitta, ma ha illuso i suoi figli. Da Genova a Brunico, passando per la Stazione Centrale di Milano, arrivando a Montesilvano fino in Madagascar, Sommariva tratteggia un mondo che ha perso i suoi punti di riferimento, in cui il Dio Denaro è l’unico punto cardinale rimasto.
Sommariva – così come Tom Waits, riferimento musicale più volte citato nel romanzo – ama gli ultimi, i perdenti, gli inetti, e questo si percepisce sin dalle prime pagine. Ma questa povertà d’animo, quest’arrendevolezza al destino, si rivela, in realtà, uno sberleffo allo status quo: Marco si rivela essere, infatti, un ribelle: il suo male di vivere, la sua insofferenza, assumono i contorni di un atto di ribellione quasi rivoluzionario. E come tutti gli antieroi moderni, anche il nostro protagonista scoprirà alla fine di questa immersione nella disillusione che la verità non sempre è rivoluzionaria. Anzi.
Piergiorgio Pulixi
RECENSIONI:
Recensione del 05-04-23 pubblicata su Pulp Magazine