copertina

CoviDiario

80 giorni di relazioni e pensieri in lockdown

DIARIO (2020)
Il Geko edizioni

il libro contiene il lungo racconto intitolato "Andrà tutto bene?" richiesto all'autore dalla rivista semestrale "Varchi, tracce per la psicoanalisi", ambientato in carcere, su come i detenuti hanno vissuto in cella il coronavirus mentre noi eravamo imprigionati in casa.
Dalla necessità di dare voce a molte storie, anche minime, di lotta e resistenza quotidiana al virus Covid-19, nasce questo Diario che rivela l’esistenza di un fitto sottobosco di azioni e relazioni nate durante i mesi del lockdown. Se di queste vicende si fossero impossessati i mass-media e la stampa ‘tradizionale’ non avremmo questi racconti, o peggio, avremmo l’ennesima sfilza di numeri, statistiche e uomini appiattiti alla voce ‘eroi’. Questo libro svela chi era al centro del tornado Coronavirus e combatteva senza armi o quasi; chi, mentre qualcuno si adeguava silenziosamente a indossare la mascherina e a non uscire di casa, cercava il modo per non sottostare passivamente a una reclusione travestita da sicurezza, fosse solo ragionando in maniera autonoma. Un testo fondamentale perché non accada quanto scriveva nel 1908 Anatole France: “Le testimonianze false valgono più di quelle vere, perché vengono create espressamente per le necessità della causa, su ordinazione e su misura, e quindi risultano esatte e particolareggiate. Sono preferibili perché trasportano le menti in un mondo ideale e le distraggono dalla realtà, che, in questo mondo, purtroppo, non è mai senza ombre.”

Prefazione di Anna Marsilii

CoviDiario raccoglie le annotazioni giornaliere trascritte da Marco Sommariva sul suo blog, durante il lockdown determinato dall’emergenza Covid-19. Rileggerle a distanza di mesi mi ha preoccupato. Per come stiamo vivendo ora, per come un po’ tutti si siano già dimenticati di quel che è successo e vivano con leggerezza: sugli autobus, nei locali, nelle discoteche… nel Paese senza memoria che è da anni l’Italia è bastata l’estate – la stagione più effimera di tutte, quella che quando comincia è già finita – a far dimenticare a quanti durante il lockdown piangevano, accendevano candele, si parlavano dai balconi e giuravano di diventare più buoni, come mai eravamo arrivati a quel punto. La percezione del pericolo della maggior parte della Società oggi è minima, anche quando i contagi non sono del tutto spariti, anche quando aumentano e qua e là si verificano focolai di decine di persone. Non potrebbe essere altrimenti, in un Paese in cui i messaggi dalla politica – ma ahimè anche dalla scienza – sono del tutto contrastanti. In fase di riapertura post-lockdown le agevolazioni per ristoratori, proprietari di locali notturni, bar e paninoteche hanno contribuito ad aumentare l’illusione che si potesse tornare a una vita normale e vivere con spensieratezza l’estate. Quanto vale il PIL rispetto alla possibilità di finire in ospedale attaccati a una macchina per respirare?

        A marzo il governo aveva deciso di revocare la libertà di ognuno e costringere le famiglie a “stare a casa” a causa della pandemia del virus Covid-19. A dispetto di un provvedimento dettato con facilità da un decreto, non è stato altrettanto facile organizzare la vita durante questo periodo di confinamento. Si sono sovrapposte le quotidianità di tutti i membri della famiglia, gli orari e le esigenze degli uni hanno dovuto coesistere con quelle degli altri. Si sono evidenziate le disparità, nella Società già presenti, tra chi possiede tanto e chi possiede poco o niente, tra chi era segregato in un lussuoso appartamento e chi era costretto in piccoli locali. I primi hanno potuto dilettarsi a fare qualcosa di mai tentato durante la normale routine: leggere un libro, suonare la chitarra, scrivere sul giornale quanto è bello non farsi scappare un’occasione simile. Chi però è rimasto prigioniero in casa, con pochi metri quadrati a disposizione e una situazione familiare fragile o pericolosa non ha imparato a suonare la chitarra, davvero no. Se proprio di occasione dobbiamo parlare, dovremmo piuttosto considerare come durante l’emergenza siano vistosamente diventate evidenti condizioni oggettive di difficoltà – economiche e sociali – di un Paese che arranca. Prenderne coscienza sarebbe già un passo avanti.

        Personalmente, come spesso accade per periodi di stress vissuti intensamente e a testa bassa, mi sono accorta di essere esaurita solo una volta finito tutto. Questo è uno dei motivi, il più personale, per cui mi è stato prezioso il blog quotidiano di Sommariva. Ricordo di aver tirato il fiato per quei cinque minuti di lettura quotidiana e di aver avuto le lacrime: di emozioni inespresse, di rabbia, di dolore, di commozione, di senso di impotenza… 

        CoviDiario è un libro prezioso al di là della contingenza lockdown, voce fuori dal coro durante la segregazione in casa, esercita la capacità di critica verso una Società che è in difficoltà da ben prima della pandemia. L’Italia è un Paese in crisi e non a causa del Covid-19. Le aziende-ospedali hanno smesso di essere un servizio da anni; le residenze per anziani nascondono brutture di ogni tipo; l’informazione è omologata, quando la sua pluralità sarebbe invece indice di democrazia, i telegiornali propongono lunghe sequele di notizie le più disparate ma proposte sullo stesso piano, senza approfondirne una o senza ricercarne le cause; la politica è solo spettacolo, non contiene idee ma slogan; le donne sono uccise ogni giorno perché si permettono di troncare una relazione o tentano di sottrarsi alle violenze familiari; i giovani hanno un futuro di lavoro precario; le competenze non hanno alcuna importanza; la qualità è del tutto secondaria. E se guardiamo oltre ai confini nazionali, il neoliberismo ha imposto un sistema di sviluppo continuo basato sui consumi e sulla società dello spettacolo in mezzo mondo, schiacciando le fasce deboli ai margini; nell’altra metà del mondo la maggior parte della popolazione non ha accesso ai beni di primissima necessità come l’acqua, figuriamoci la sanità!

        CoviDiario ha il pregio di fornire informazioni veritiere, anche se a farlo non è un giornalista ma uno scrittore. I resoconti dell’autore sono basati su osservazioni di persone realmente coinvolte, filtrate e riscritte da chi usa la scrittura da anni per scalfire la superficie della realtà e svelarla più profondamente, per costringere a riflettere anche chi non è più abituato a farlo da anni. CoviDiario affronta ragionamenti ampi, coinvolgendo il passato di un Paese senza memoria e contribuendo a svelare gli aspetti della nostra Società che da anni ci vengono tenuti nascosti: da riflessioni affini al mondo della Sanità pubblica massacrata da trent’anni di tagli e una logica votata al guadagno dei dirigenti, arriva ad affrontare questioni cruciali come l’informazione, l’uso delle parole, la società dei consumi, il conformismo.

        L’informazione, strettamente collegata all’uso delle parole, risulta amplificata, distorta, negli anni è diventata impossibile da decodificare e in questo processo Internet ha avuto la sua parte. Umberto Eco più di dieci anni fa indicava la particolarità della Rete, dove chiunque può scrivere, dire la sua. Che c’è di male, a dire la propria? Niente, ma in una questione scientifica deve aver più peso lo scienziato del primo che passa, mentre nella Rete i pareri dei due sembrano essere sullo stesso piano, praticamente interscambiabili. Chi legge e vuole informarsi sceglie l’uno o l’altro a seconda delle sue proprie convinzioni.

        La politica utilizza la Rete per comunicare un’immagine di sé accattivante in vista delle prossime elezioni, in una campagna elettorale permanente. Le parole vengono distorte a proprio tornaconto, mentre il reale ruolo del politico, quello di indicare possibili soluzioni a problemi contingenti, ma più a lungo termine di operare scelte di un Paese a favore dei cittadini, è del tutto cambiato. La manipolazione sembra essere il suo tratto più caratteristico, una capacità che coinvolge l’informazione e l’uso delle parole, realizzando macchine del fango sempre più sottili.

        La società dei consumi esige coscienze addormentate e bisogni umani, compresa la felicità, facilmente raggiungibili nei centri commerciali. Il conformismo è il dato più allarmante: negli ultimi vent’anni abbiamo digerito di tutto senza fiatare, ci siamo omologati a nuclei familiari essenziali in cui ognuno lavora o studia e ha il suo smartphone per non sentirsi solo.

        Se l’emergenza dettata dalla pandemia ha avuto l’unico aspetto positivo nel rendere più evidente la situazione di criticità del nostro “normale” modo di vivere, uscire dalla crisi aperta dal Covid-19 vorrebbe dire ricordarsi che tutto quanto di materiale ci circonda è superfluo e ritrovare autenticità nelle nostre vite, pretendendo che i nostri bisogni tornino a essere dei diritti fondamentali: uguaglianza, istruzione, sanità, informazione, lavoro...
Anna Marsilii


Anna Marsilii scrive di storia contemporanea, facendo ricerca quando riesce, nei ritagli di tempo e senza remunerazioni; ha pubblicato sulla rivista “Storia e memoria” dell’Istituto Storico della Resistenza articoli riguardanti la sorveglianza e il regime di polizia durante il fascismo: “I comunisti genovesi alla prova delle leggi fascistissime. Il caso del ‘compagno Ugo’, l’infiltrato Luca Ostéria”, a. XXV, n. 2/2016; “Il fondo questura dell’Archivio di Stato di Genova: il sistema della sorveglianza dal regime fascista a quello democratico”, a. XXVII, n. 2/2018; “Lettura di un fascicolo del fondo questura: Enrica Borgatti”, a. XXIX, n. 2/2020.
È del 2004 il suo libro “Il movimento anarchico a Genova (1943-1950)” edito da Annexia.